giovedì 23 giugno 2011

KEN NO MICHI - Ichiro Yano - Kendo Hanshi 8° Dan

L’arte del Kendō
Il Kendō, diversamente dagli altri sport, richiede poca forza fisica. Quindi, nel praticare Kendō,  poco importa essere grandi o piccoli, robusti o delicati. Neanche l’età ha grande importanza perché ci si può allenare dai cinque anni fino ai settanta ed ottanta. Perciò si può continuare a praticare il Kendō per tutta la vita. Quello cui va data maggiore importanza è che sviluppa la mente più che il corpo. Non è questo un aspetto davvero singolare? Allenamenti e combattimenti, come se ne vedono in ogni Dōjō, e che sono indispensabili per apprendere e perfezionarsi in questa arte marziale, come pure per rinforzare il corpo, dovrebbero essere considerati, dopo tutto, come mezzi necessari, ma non come lo scopo principale. Riflettendo su questi suoi aspetti si può ben dire che il Kendō, specialmente oggigiorno, giovi largamente ed efficacemente a rinvigorire e ristorare il popolo giapponese. Personalmente ritengo che il Kendō sia la migliore medicina per la salute del corpo e della mente. «Quali sono i veri pregi del Kendō?» E’ questa una domanda che mi viene posta di frequente. Anche se la mia risposta può suonare troppo dogmatica, mi sono fatto un dovere di dare la seguente spiegazione a quanti non conoscono sufficientemente il Kendō. Ogni bambino che pratichi il Kendō può giungere a possedere questi pregi:
  1. apprendere le buone maniere;
  2. sviluppare il potere spirituale di saper fronteggiare chiunque e qualunque cosa lealmente e senza esitazioni;
  3. acquisire naturalmente la presenza di spirito che consente di non subire turbamenti o eccitazioni da qualsiasi avvenimento;
  4. sviluppare sufficientemente capacità di azione tempestiva e risoluto giudizio quando le circostanze lo richiedano.
Queste qualità possono essere conseguite da chiunque si alleni con costanza e fermezza. A questo proposito è mia abitudine di introdurre quattro parole che riassumono quelle qualità : rei (buone maniere), choku (franchezza), sei (imperturbabilità), soku (rapidità). Chi sia munito di queste quattro virtù non si darà mai per vinto, ma vivrà felicemente anche nelle condizioni più avverse. C’è un solo metodo per praticare e conoscere a fondo l’arte del Kendō. Insegnare a se stessi attraverso la propria esperienza sia fisica che mentale. «Fatelo da voi e imparate» dice un vecchio adagio. E’ un’arte che va studiata mentre la si pratica. In breve il metodo fondamentale per apprendere l’arte del Kendō è praticarla, cioè imparare con il corpo. I principianti sono allenati fisicamente perché si rendano padroni delle tecniche del Kendō. Dopo qualche tempo si volgeranno gradualmente ad un allenamento mentale così che andando avanti con gli anni si impegneranno per lo più ad esercitare lo spirito. Il rapporto fra allenamento fisico e mentale per un principiante sarà di 90 e 10 per cento, nella mezza età 50 e 50 e nell’età avanzata 20 e 80. Questa è la corretta pratica di allenamento. Se ne deduce che è necessario continuare ad esercitarsi per tutta la durata della vita. Questo è il principio di base per apprendere il Kendō. Scopo fondamentale del Kendō è, senza dubbio, quello di coltivare un potere di osservazione tale che giunga alla vera essenza delle cose. Suscitare, cioè, nella mente la facoltà di analizzare accuratamente la reale sostanza ovvero lo status proprio di ogni cosa. Fine ultimo, ma anche estremamente difficile da raggiungere è, poi, quello di acquistare la capacità di conoscere e penetrare la nostra propria realtà.
Quando uno studioso di Kendō raggiunge questo stadio non ha più né ego né presunzione alcuna. Si trova in una posi-zione da cui può esaminare se stesso con la stessa imparziale correttezza con cui considera gli altri. Questa è la vera Mecca per i pellegrini del Kendō. E’ uno stadio mentale che viene indicato come muga no kyochi (stato di non ego) e come meikyo-shisui no kyochi (stadio in cui la mente è lucida e chiara come uno specchio senza macchia o come acqua immobile) ed anche fudo shin (mente immobile). Tutte queste espressioni si riferiscono ad un identico stato mentale. Quelli che lo hanno raggiunto sono detti tatsu-jin (uomini realizzati/perfetti) uomini dai quali è impossibile avere opinioni errate o incomplete.
Fin dai tempi antichi gli insegnanti di Kendō puntualizzavano quattro mali (shi-aku) che bisognava combattere e soggiogare - kyo (sorpresa), ku (paura), gi (dubbio), waku (incertezza/perplessità). Veniva anche insegnato come bisognasse guardarsi dall’ostacolare la mente ovvero renderla schiava di alcunché (shi-shin) perché la mente è frenata nel suo progresso dalla volontà e dai sentimenti.
Le persone presuntuose o avide sono generalmente sconfitte e non possono mai divenire tatsu-jin. Però, come costoro vengono continuamente sconfitti, la loro presunzione viene meno ed essi gradualmente apprendono ad esaminare sé stessi oggettivamente fino a far scomparire ogni traccia di egoismo così da giungere alla calma della mente totalmente purificata come uno specchio senza nubi. Quanto si è detto spiega l’esistenza di espressioni quali seichu-do, movimento in tranquillità e fudo-shin, mente immobile, che non è influenzata da alcun potere esterno. In conclusione si ritiene che l’arte del Kendō renda la mente calma, serena, normale. Su questo punto dunque Zen e Kendō si propongono lo stesso identico scopo come viene affermato da un antico detto ken-zen-ichi (Kendō e Zen sono d’accordo).

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